Una vita da mediano e da tifoso: quando il calcio diventa una cosa seria

Giorgio Bruzzone –

Citando non a caso una frase di Luciano Ligabue, estrapolata dalla sua conosciutissima canzone “Una vita da mediano”, << A recuperar palloni, nato senza i piedi buoni, lavorare sui polmoni >>, possiamo subito affermare che, nel gioco del calcio, il compito del mediano non è per nulla dei più semplici. Sacrificio e tanta voglia di lottare sono necessari per giocare in questa zona del campo. Un po’ come chi ha a che fare con un ostacolo della vita, piccolo o grande che sia, e deve trovare la giusta forza per superarlo. La mia storia nasce nel lontano 2003, quando all’epoca avevo 6 anni. Presi la decisione di iscrivermi alla Praese invitato dall’allora mio migliore amico, tutt’ora presente nella mia vita, nei momenti più belli ma soprattutto in quelli più difficili. Posso tranquillamente affermare che è stata proprio la passione per questo sport che ci ha uniti negli anni e ha consolidato la nostra amicizia. Gli anni passano ma l’amore per il gioco del calcio resta e io, tra un allenamento ed un altro, tra una partita ed un’altra, continuo imperterrito a coltivare la mia passione, sempre più con voglia e grinta nell’affrontare nuove sfide e, perché no, togliermi anche qualche soddisfazione, nonostante le delusioni e le amarezze che un normale ragazzo può incontrare nella sua vita da adolescente. Per me il calcio è ritornare bambini. Ricordo ancora le prime volte nello spogliatoio, le prime partite in un campo in terra battuta che poi si è trasformato in un campo in erba sintetica. Indimenticabili da questo punto di vista le parole del mister prima di ogni singola partita: << Tanto lo sai già, ma io te lo ripeto lo stesso. Entra in campo e traccia una riga. Da lì non deve passare nessuno. Il tuo avversario lo devi marcare e seguire anche dopo la partita quando va a pisciare >>. Parallelamente a tutto ciò, un altro scenario accompagnava e accompagna tutt’ora la mia vita, ovvero quello dell’amore per la mia squadra del cuore, il Genoa, una fede che ho ereditato dalla nascita e alla quale sono legato visceralmente. A distanza di anni ricordo con grande orgoglio un episodio accadutomi proprio durante una partita del Genoa, che “forse”, da quel giorno ha sancito la mia “genoanità”.  Era il 17 ottobre 2009 ed io, che all’epoca avevo solamente 12 anni, mi stavo dirigendo insieme a mia madre, abitudinaria compagna di stadio, verso il Luigi Ferraris. Quella sera il mio Genoa avrebbe sfidato l’Inter di José Mourinho. Nonostante la mia tenera età devo ammettere che le partite le soffrivo in una maniera davvero impressionante.  I giochi ebbero inizio ma, dopo soli 6 minuti, Cambiasso portò in vantaggio i nerazzurri sfruttando un colpo di testa di Maicon per agganciare il pallone e bucare Amelia. Minuto 31’: ci pensò Mario Balotelli a raddoppiare. Il colpo di scena avvenne nei minuti di recupero della prima frazione con un “golazo” di Dejan Stankovic da metà campo. Nella ripresa la storia non cambiò e al minuto 22’ stavolta fu Vieira a bucare la porta dei rossoblù. Poco dopo anche Maicon si aggiunse alla lista dei marcatori sfruttando un’indecisione di Biava. 5–0 Inter il parziale. Fu proprio dopo il quinto gol subìto dal Genoa che, tra qualche sguardo di disapprovazione e parecchio malcontento da parte dei tifosi, mi partì un pianto oserei dire spontaneo. Un pianto d’amore. Ricordo ancora perfettamente la scena: mia madre, vedendomi in lacrime, mi chiese il perché stessi piangendo “per così poco”, “per una semplice partita di calcio”. Agì da mamma, dispiaciuta. Come avrei potuto non comprenderla? Qualche istante dopo la svolta: a partita non ancora terminata ma comunque già ampiamente indirizzata verso la vittoria dei nerazzurri, il boato magico e le urla assordanti: <<Genoa! Genoa!>> provenienti dalla Gradinata Nord mi fecero coraggio e mi riempirono di orgoglio. Fu così che le lacrime vennero meno e, in un clima surreale di festa, mi misi anche io a cantare e urlare. Tutto quello che volete ma queste scene hanno a che fare con la vera essenza dello sport. A fine gara i giocatori del Genoa furono chiamati sotto la loro gradinata per essere comunque applauditi. << Che dire. Tu chiamale se vuoi… Emozioni! >>