Antonio Michelini #
Ho sognato il mio vecchio paese
che al viver mio
fu compagno fedele.
Ho rivisto la Can-nevà
con i suoi pini centenari
ove gli ascosi cacciator
attendevan, provenienti dal mar,
i colombi al passo.
La intoccata vallata del Branega,
con le sue dolci colline, i verdi
prati e i suoi boschi di pini silvestri,
L’antichissima Palmaro
con la sua millenaria Pieve
dei pellegrin e crociati ostello
e così via tutto il resto del paese,
San Pietro con il suo vetusto
Monastero e gli ubertosi campi attorno.
E all’estremo confin,
in quel di Castelluccio,
le digradanti colline
fatte a scale, punteggiate
da secolari ulivi con i nodosi
rami protesi verso l’infinito
azzurro mar disteso.
Ed infine lo stupendo litorale,
il più bello del ligure golfo,
dove le nostre madri
stendevano al sol, sulle
levigate pietre, le bianche
lenzuola, che profumavan
poi di mare e di sole.
Amaro il risveglio è stato,
come un uragan perverso
un vento di follia
è imperversato
sul mio borgo natio
e quel che nei millenni,
Galli, e Romani, i barbari
Unni, Vandali e Visigoti,
i saracin del Sultano Mergiahid,
Austriaci e Francesi,
non riuscirono a distruggere
fu compiuto in un baleno
e su quel dolce antico paese,
incastonato tra l’infinito mar,
due file di case e la campagna
si stese una coltre di cemento
che ricoprì i suoi campi rigogliosi
e le sue verdi colline.
Sparirono i suoi dolci declivi
con gli ultra centenari ulivi
per far posto a che cosa ?
Alle lavatrici !!!
E il mar, quel bel mar
In cui il nostro paese
Si è specchiato per millenni,
riempito è stato di detriti,
pietre, e rottami e terra
e chissà cos’altro ancora.
Io son fuggito è ver
di fronte a tanto scempio
anche se il mio cuor
è rimasto là,
dov’io son nato,
e dove la mia pianta
da tempo immemore
ha radicato.
Non rivedrò più
le mie amate sponde
ove ho vissuto
le giovin ore felice.
Non sentirò più
il dolce mormorio
del mar nella battigia
o il rombo possente
di quand’era irato
e si abbatteva rabbioso
sulla riva tra le nuvole
di spuma e una miriade
di immaginifiche perline.
Né più vedrò i pescator rugosi
Andar per mar con il loro “gosso”
e veder danzar sull’onde
nel notturno orizzonte,
le luci tremule delle loro lampare.
Da lassù i nostri padri
ci guardan severi
e ci chiedon: che ne avete
fatto del nostro bel paese ?!
Perché avete accettato
Quel che i vicini, a Levante
e a Ponente, han con caparbia rifiutato?
Ma recriminar non cale,
ai posteri il giudizio
anche se ci stringe il cuore
la malinconia
per ciò che è stato
e che mai più ritornerà.
Non rivedrò più la bianca scogliera,
lambita dal mare
dove negli estivi meriggi
scorgevo dall’alto
i pesci guizzare.
Né più mai sentirò
per le strade del paese,
le grida delle “regatun-e”
a magnificar il fresco pescato.
O il lieve zeffiro
che alla sera saliva
su dalla marina
ad accarezzarci il volto.
“Sabbo a Camoggi
Domenega a Pra’ “
Canta una strofa
della vecchia canzone:
Ma “Camoggi” è rimasta,
la vecchia Pra’ non c’è più.
Il pensiero di avere vissuto
in quel mondo bello e genuino,
non troppo lenisce
la tristezza, che alberga
nel cuore, per averlo perduto.
Un accorato ricordo,
un acuto rimpianto,
un rabbioso sgomento,
questo è oggi
passati i giorni felici di festa,
tutto quel che ci resta.
Antonio Michelini
Settembre 2002
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