Il pampano – Le stagioni praesi

Antonella Freri –

L’inverno avvolto nel suo mantello cammina veloce sotto la pioggia, attraversa via Sapello, le scarpe producono un suono simile ad un crepitio sull’asfalto bagnato, il ticchettio della pioggia batte sul suo ombrello, ogni goccia un peso diverso, un suono diverso, l’inverno accorcia il passo, si ferma, chiude gli occhi e ascolta ciò che la natura regala, la sinfonia di suoni, un lampo squarcia il cielo, il rombo assordante del tuono gli apre gli occhi, guarda Via Sapello e ogni volta che passa di lì la ritrova, uguale, immutata, i decenni non ne hanno trasformato il volto, nonostante Pra’ abbia cambiato pelle, via Sapello ha mantenuto il suo carattere, la sua semplice forma, resta tutto cosi, sospeso nel tempo, l’anima antica di Pra’. L’inverno riprende il suo passo.

L’estate resta seduta sullo scoglio dell’oca, ascolta il mare, il battito cardiaco della terra, il fragore delle onde riempie il suo olfatto, l’odore del mare l’antico idioma che non si riesce a penetrare, il salino si posa sulla pelle, ammira il volo dei gabbiani, da quello scoglio si vede l’orizzonte, si vedono le colline, sotto i piedi la sabbia disegna l’impronta, un disegno che l’acqua modifica, l’ incessante ritmare dell’onda un ossimoro che richiama alla pace, al silenzio. L’estate volge al termine, si alza e lascia lo scoglio dell’oca, non lo ritroverà più, verrà ingerito dalla stupidità, dall’avidità e dalla barbara idiozia.

L’autunno fa il suo ingresso, le luci calde della sera, l’aria che pizzica nel naso e lo sguardo rivolto verso la collina di ponente da cui si intravede “il pescespada” (*), le luci di Crevari ne disegnano il profilo, sebbene altre luci abbiano inquinato il suo volto, i bagliori delle luci ricordano le nostre radici, rammentano che noi veniamo dal mare, la salsedine corrode il ferro, ma non corrode la memoria. L’autunno, pennello della natura, prosegue nel suo dipinto, tinge di giallo agli alberi, spalma il verde intenso al mare, annaffia di grigio il cielo.

La Primavera arriva cantando, saltella fra i prati della Fagaglia, la natura ancora sonnecchiante, apre gli occhi, regala il profumo deciso e frizzante del verde dell’erba, il marrone dei rami abbandonati dagli alberi ha il sapore dell’odore morbido e secco del legno, da quassù si vede il mare, i fianchi dolci delle colline lo incorniciano. Tutto è pronto, tutto sembra ricominciare, la Primavera conosce la gioia del germoglio, conosce la Fagaglia che ogni anno sboccia sul tetto di Pra’. La Primavera si stende sull’erba, il ritmo cadenzato del cinguettio degli uccelli la culla, chiude gli occhi e si addormenta. Le Stagioni passano, scorrono il tempo e Pra’ le insegue, il susseguirsi del tempo permette all’uomo di stravolgerne la natura, ma qualcosa rimane, piccoli frammenti di una Pra’ che era, ricordi che si sovrappongono nella mente, resti di ricordi ci portano indietro, nostalgico rimpianto, saudade.

(*) Per la particolare conformazione del territorio e delle strade sui rilievi montuosi in corrispondenza di Crevari / Vesima, se da Pra’ si guarda a ponente, quando è buio, le luci dell’illuminazione stradale della zona montuosa di ponente formano la sagoma di un pescespada.